Amiamo passeggiare in mezzo al verde, in un bosco, su un prato pieno di fiori, oppure in un parco in città ricco di biodiversità e ben curato. La nostra memoria evoluzionistica ci rammenta che il verde è sinonimo di vita. Sappiamo che dove c'è vita, solitamente c'è acqua e altre risorse necessarie per la nostra sopravvivenza. Sin da piccoli rimaniamo affascinati dalla varietà delle forme viventi che ci circondano. Qualcuno di noi si spinge oltre e sviluppa progetti ambiziosi per soddisfare un'antica curiosità verso potenziali forme di vita su altri pianeti nell'universo. Tutto ciò dipende dalla nostra innata biofilia. Essa è talmente ovvia che tanti di noi non solo non la (ri)conoscono, ma chi la conosce ne dimentica spesso l'importanza.
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Il termine biofilia è una combinazione di due parole che discendono dal greco: "vita" (bio) e "amore" (filia); esso significa letteralmente "amore per la vita", in senso più largo anche "amore per la natura". Qui la Natura è intesa come il sistema totale di animali, piante, funghi, rocce, minerali, aria, acqua, suolo e i suoi invisibili abitanti.
Sin dai primi studi, la biofilia si collocò in uno spazio di sovrapposizione e di ricerca interdisciplinare tra psicologia e biologia.
La parola biofilia fu coniata per la prima volta nel 1964 dallo psicoanalista tedesco Erich Fromm, per descrivere l'orientamento psicologico degli esseri umani a essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale (Fromm, 1964). Secondo Fromm la biofilia si realizza solo se le condizioni ambientali naturali e sociali favoriscono la crescita e lo sviluppo in modo naturale e spontaneo.
Vent'anni dopo, indipendentemente da Fromm, il biologo americano Edward Osborne Wilson, utilizzò il termine biofilia per indicare un'esperienza empirica di profonda comunione con la Natura, descrivendola come un tratto evoluzionisticamente adattivo dell'essere attratti da ciò che è vivo e vitale (Wilson, 1984). Nonostante sia così pervasiva nella quotidianità, per molto tempo è stato difficile studiare la biofilia, perché l'amore per la vita è un orientamento psichico complesso. Occorreva individuare alcuni costrutti della biofilia più semplici e più facilmente misurabili. Nel 2002 Wilson descrisse la biofilia come la "tendenza innata a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente" (Wilson, 2002). Egli definì i due costrutti della biofilia: l'attenzione che è la capacità della Natura di attirare la nostra attenzione involontaria e l'affiliazione che è il nostro sentimento di connessione con la Natura. Secondo Wilson, la biofilia non è un singolo istinto, ma un complesso di regole di apprendimento che possono essere districate e analizzate indi¬vidualmente. I sentimenti modellati dalle regole di apprendimento ricadono su diversi spettri emotivi: dall'attrazione per la Natura (biofilia) all'avversione per la Natura (biofobia) (Wilson, 1993; Ulrich, 1993). Durante l'evoluzione i nostri antenati hanno dovuto affrontare le forze ostili della Natura selvatica. Le regole di apprendimento della biofilia e della biofobia sono radicate ancora oggi nel nostro patrimonio genetico e hanno dato un prezioso contributo nel migliorare l'efficienza umana nella ricerca delle risorse (cibo) e di un riparo sicuro (rifugio).
Abbiamo trascorso all'incirca il 99,9 % della nostra storia evoluzionistica a stretto contatto con la Natura. La nostra fisiologia e psicologia sono ancora perfettamente adattate ad essa, ma sembra che ce ne siamo dimenticati.
Più riusciremo a sincronizzare i nostri ritmi di vita odierni con quelli della Natura, maggiore sarà la nostra sensazione di comfort e benessere.
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Bettina Bolten, Biophilic design consultant