Tanti di noi sicuramente ricordano il film INTO THE WILD – NELLE TERRE SELVAGGE del 2007, del regista e attore Sean Penn, basato sul libro Nelle terre estreme, scritto da Jon Krakauer che racconta la storia di Christopher Johnson McCandless (1968–1992), un giovane viaggiatore statunitense. Appena terminò i suoi studi, egli iniziò a girovagare nell'ovest degli Stati Uniti, spinto dalla volontà di passare del tempo in totale solitudine nella Natura selvatica. Giunse in Alaska nell'aprile del 1992, e persone che lo conobbero sul suo cammino testimoniarono che portò con sé poco cibo e attrezzature insufficienti.
Cinque mesi dopo il suo corpo inanime venne ritrovato in un vecchio autobus dislocato in mezzo alla Natura selvatica che gli funse da abitazione. Successivamente, si seppe che Christopher morì di fame o, forse, a causa di un avvelenamento da alcuni semi.
Non si sa con esattezza che cosa abbia spinto il ragazzo a lasciarsi alle spalle la società per immergersi in terre sconosciute e selvatiche che non perdonano il minimo errore. Non sappiamo se fu la ricerca di un ideale estetico estremo, oppure la fuga da un disagio familiare, come venne raccontato anni dopo dalla sorella.
Into the wild si concentrò sulla quotidiana lotta di Christopher contro la fame e la sua voglia di sopravvivere. Rivedendo di recente il film che suscita forti emozioni nello spettatore, ho cominciato a riflettere sui concetti di biofilia e biofobia.
In questo articolo:
La biofilia è il nostro amore per tutto quello che è vivo. Tutto ciò che è vivo attrae gli esseri umani e può suscitare in noi da un lato emozioni di affiliazione (=biofilia), e dall’altro lato repulsione e avversione (=biofobia) (Ulrich, 1993).
Secondo il biologo statunitense Edward Osborne Wilson, “la biofilia non è un singolo istinto ma un complesso di regole di apprendimento che possono essere studiate e analizzate individualmente. I sentimenti modellati dalle regole di apprendimento ricadono su diversi spettri emotivi: dall'attrazione all'avversione” (Wilson, 1993, p. 31).
Pertanto, i concetti di biofilia e biofobia sono inscindibilmente legati e forse possiamo dire che sono due le facce della stessa medaglia, anche se i due fenomeni vengono studiati e trattati separatamente.
Tutti e due hanno avuto una funzione evoluzionistica molto precisa.
Durante i lunghi anni dell’evoluzione, i nostri antenati hanno dovuto conoscere e affrontare non solo le bellezze della Natura, ma anche le forze ostili presenti negli ambienti wilderness.
Le regole di apprendimento che caratterizzano la biofilia e la biofobia si sono fissate nei nostri comportamenti e nel nostro patrimonio genetico in funzione del loro contributo a migliorare l’efficienza nella ricerca di risorse e di rifugi.
In una logica di sopravvivenza, i nostri antenati forse non si potevano permettere un amore incondizionato per la Natura, ma dovevano fare i conti anche con i suoi aspetti pericolosi e negativi: animali predatori, piante e frutti velenosi, eruzioni vulcaniche, terremoti, tempeste, cambiamenti spesso anche drastici del clima per cause naturali, e tanti altri.
Questo processo di raccolta di esperienze è stato probabilmente dispendioso di tante vite umane, ma anche il motivo del nostro successo evoluzionistico. Pertanto, anche oggi la Natura viene percepita da molte persone come “buona” nel ruolo di donatrice di tanti benefici e godimento estetico, e come “cattiva”, perché ha ancora oggi la capacità di nuocere alla nostra salute e sopravvivenza.
Quando ci troviamo di fronte a una situazione pericolosa della Natura, l’emozione immediata della paura ci pone di fronte a determinate scelte. La paura è un’emozione primaria, comune a tutti i mammiferi, l’uomo compreso. Si tratta di un’emozione di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, prevista, ricordata oppure anche soltanto un prodotto della nostra fantasia. La paura spesso viene accompagnata da una reazione organica innescata dal sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza. La difesa si traduce principalmente in tre atteggiamenti: la lotta, l’immobilità oppure fuga.
Di fronte alla Natura “buona” sviluppiamo invece un altro tipo di risposta che si chiama "riposo e digestione" (rilassamento).
Biofilia e biofobia sono probabilmente due facce della stessa medaglia e bisogna tenerne conto quando si parla di progettazione biofila, perché non tutte le persone apprezzeranno allo stesso modo il contatto diretto con la Natura negli ambienti costruiti.
Mi vengono in mente le parole che ho sentito pronunciare di recente da una guida naturalistica in un documentario sulla Natura in Nuova Zelanda:
“La Natura non è pericolosa od ostile, ma siamo noi esseri umani a non essere sempre perfettamente attrezzati per affrontarla.”
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Bettina Bolten, Biophilic design consultant